
IL MECCANISMO DELLA SUPERCOMPENSAZIONE E IL RUOLO DELL’ALIMENTAZIONE
DAVIDE VACCARONO
La Supercompensazione è un meccanismo fisiologico che in risposta allo stress dato dall’attività fisica aumenta le capacità lavorative del nostro corpo. È una forma di adattamento del nostro corpo agli stimoli dell’allenamento. Cosa significa?
Il fine ultimo di ogni organismo presente sulla Terra è la sopravvivenza: ogni essere vivente, incluso l’uomo, risponde a variazioni e stimoli esterni (o interni) per mantenere nella misura più invariata possibile la situazione di equilibrio che lo contraddistingue. Sopravvivere consiste quindi spesso nella capacità di trovare soluzioni a problematiche che dipendono dall’ambiente e non dall’individuo; un mezzo attraverso cui risolvere vari tipi di squilibrio è l’adattamento, che porta a cambiamenti vantaggiosi tipicamente stabili nel tempo.
Applicando il concetto di adattamento al Calisthenics e in generale all’idea di attività motoria è possibile notare come il nostro corpo risponda anche a stimoli quali lo sforzo fisico e quello nervoso caratteristici dell’allenamento e allo stress ad essi legato.
La supercompensazione prende parte al processo di ripristino a livello biochimico della situazione in cui si trovava il corpo precedentemente al deterioramento generale causato da un allenamento intenso, o meglio, si innesca subito dopo tale ripristino: l’organismo infatti cerca non solo di recuperare l’equilibrio iniziale compensando lo stimolo, bensì di spostarsi su livelli superiori, supercompensandolo. Definendo questo meccanismo è semplice intuire che esso sia strettamente influenzato da (e a sua volta influenzante) le tempistiche e la programmazione dell’allenamento; prolungare troppo il periodo di recupero tra un allenamento e l’altro potrebbe portare a non sfruttare l’adattamento non riuscendo a “cogliere l’attimo”, perdendo il momento in cui sarebbe garantito un picco prestazionale, mentre non dare al corpo il tempo necessario per recuperare aumenterebbe il rischio di incorrere in problematiche legate al sovrallenamento (non sarà un singolo errore di valutazione del recupero a causarlo, si parla di settimane o mesi di “imprecisioni” di gestione).
Non esistono leggi o formule teoriche che permettano di capire quanto il recupero debba essere lungo e quando sia il momento giusto per allenarsi, ma nel pratico quello della supercompensazione è un concetto piuttosto semplice da comprendere, si tratta fondamentalmente di riuscire ad “ascoltare” il proprio corpo, che spesso manda segnali chiari. Nel contesto particolare del Calisthenics, per capire come programmare i propri allenamenti, è prima necessario fare un’importante precisazione riguardo la supercompansazione: non è del tutto esatto parlare di questo meccanismo in senso assoluto, in quanto a livello organico è possibile distinguere diverse “supercompensazioni” a seconda dei sistemi. Quello energetico (es. creatin fosfato, glicogeno) avrà tempistiche di recupero piuttosto brevi a seconda anche dell’alimentazione; quello del tessuto muscolare per il quale il recupero completo, che dipende da fattori come (tra gli altri) il rapporto tra intensità e volume, la quantità di contrazioni eccentriche e la stimolazione di acido lattico, può richiedere alcuni giorni; quello nervoso, il più lento a recuperare, specie se in seguito a un allenamento fortemente stressante a livello di reclutamento muscolare e intensità di carico.
Riflettendo su queste differenze è possibile tracciare una sorta di parallelismo con le tipologie di allenamento a corpo libero. Un classico workout di endurance, specie se con un volume medio/alto e un’intensità media, porterà a un importante svuotamento delle riserve energetiche muscolari e, in particolar modo prestando attenzione all’alimentazione nelle ore successive all’allenamento, sarà possibile sottoporre il corpo a un nuovo stimolo dello stesso tipo già dopo un paio di giorni (con le dovute proporzioni, evitando il completo cedimento muscolare e riferendosi a soggetti “medi”), doms permettendo; Il discorso cambia leggermente se si parla di esercizi con zavorre pesanti caratterizzati da volumi più bassi ed intensità molto alta, che possono arrecare maggiore stress nervoso, e portare a una richiesta da parte del corpo di un recupero più prolungato.
La tipologia di allenamento che più di tutte stressa il sistema nervoso è però quella che prevede l’utilizzo di contrazioni isometriche, come possono essere le classiche skills. in questo tipo di esercizi il SNC deve attivare molte fibre muscolari e per molto tempo, senza gli istanti di riposo che caratterizzano un lavoro “a ripetizioni”, pertanto sarà necessario un recupero molto più lungo, addirittura potrebbe volerci una decina di giorni per ripristinare al 100% l’efficienza.
Con questo non si vuole intendere che un atleta saggio ed esperto dovrebbe allenare le skills 2 o 3 volte al mese: qui entrano in gioco i concetti di lavoro a buffer e di split routine (validi chiaramente anche per esercitazioni di endurance e strenght).
Una volta compreso il meccanismo della supercompensazione e il modo in cui essa si relaziona ai vari sistemi energetici ci si può rendere conto del fatto che questa sia strettamente legata all’alimentazione: fornire all’organismo i giusti nutrienti non solo permetterà un recupero più efficace, ma contribuirà all’incremento delle prestazioni elevando in maniera esponenziale i risultati ottenuti grazie all’esercizio fisico.
In particolare è importante sfruttare al meglio la condizione ormonale che si va a formare in seguito all’allenamento: è molto attivo il glucagone, la cui attività catabolica mantiene la sensibilità insulinica molto alta. Infatti (specialmente dopo allenamenti di resistenza) il glicogeno muscolare viene degradato per produrre energia sotto forma di ATP tramite il processo di glicolisi, e l’insulina deve essere pronta a rifornire i miociti richiamando i recettori GLUT-4, necessari per il trasporto di glicogeno attraverso le membrane cellulari, altrimenti impermeabili a esso. Il rifornimento di glicogeno è fondamentale per la performance perché in sua assenza il nostro organismo dovrebbe utilizzare le riserve lipidiche come substrato energetico, ma a parità di ossigeno queste producono molta meno energia.
L’ingestione di carboidrati in seguito all’allenamento intenso attiva velocemente l’insulina che provvederà a riempire i muscoli con la formazione di nuove catene di glicogeno. Basandosi su questo principio fisiologico è stato possibile effettuare studi che evidenziassero le differenze tra soggetti allenati e soggetti sedentari nella gestione, appunto, del glicogeno.
Un articolo pubblicato nel 1997, “Effect of endurance exercise training on muscle glycogen supercompensation in rats”, Ha verificato la tesi secondo cui sia il tasso che il volume di accumulo di glicogeno in seguito a un esercizio di deplezione dello stesso risultino maggiori in soggetti precedentemente allenati. Lo studio è stato condotto su alcuni esemplari di topo, dei quali una metà è stata sottoposta a sessioni di nuoto di intensità crescente nel tempo, e l’altra non ha effettuato alcuna attività. Al termine del periodo di differenziazione tutti i topi hanno svolto lo stesso esercizio (sempre legato al nuoto) con un piccolo sovraccarico, che aveva il fine di deplezione del glicogeno muscolare. In seguito, dopo la somministrazione di zucchero a tutti gli esemplari, dall’analisi delle cellule dei muscoli epitrocleari sono risultate differenti le concentrazioni di glicogeno (73±5 vs 176±15 µmol/g a favore dei topi precedentemente allenati), con una efficienza di sintesi del glicogeno maggiore del 18% e la quantità di recettori GLUT-4 aumentata di circa il 50%.
Oltre a dimostrare quanto detto sopra, questo esperimento permette di capire che, con i giusti accorgimenti, è possibile ricercare volontariamente una supercompensazione dello stesso glicogeno, utile nei giorni immediatamente precedenti le varie competizioni caratterizzate da sforzi prolungati e grande richiesta di energia pronta all’uso, applicando delle strategie alimentari particolari, basate tutte su un primo periodo di deplezione consistente in allenamenti piuttosto pesanti affiancati da una dieta povera di carboidrati, e un secondo di ricarica, con gli ultimi giorni prima della gara caratterizzati da un aumento notevole della quantità di carboidrati ingeriti, che porteranno a riempire i muscoli di substrato energetico.
È importante evitare che ci sia un cambio di direzione troppo drastico tra la prima e la seconda fase, perché lo sbalzo di quantità di glicogeno porta con sé anche uno sbalzo di peso: ogni molecola di glicogeno deve infatti essere legata a 3 molecole d’acqua per essere trasportata nei miociti, e ritrovarsi al giorno della gara gonfi e pesanti potrebbe essere solo controproducente.
Proprio grazie alla ricerca di questo gonfiore sfruttano invece il meccanismo di supercompensazione gli atleti di Bodybuilding: la ricarica di glicogeno in seguito ad un periodo di deplezione riempirà i muscoli di acqua, portando come risultato (esclusivamente estetico) un aumento apparente del volume muscolare. In conclusione è possibile affermare che la possibilità di sfruttare e gestire a proprio piacimento il meccanismo della supercompensazione, che nasce invece come processo sostanzialmente involontario, atto alla sopravvivenza e al mantenimento omeostatico delle componenti biochimiche dell’organismo, sia un’arma molto importante nel mondo della preparazione atletica sia in termini di competizioni agonistiche sia per rendere semplicemente più efficaci e proficui i duri anni di allenamento svolto in maniera puramente amatoriale.